Le "Scenette" di Cozzi

Ci sono tanti modi per definire le foto che vedete in questa sezione. Raymond Queneau ne avrebbe, forse, tratto un nuovo “Esercizi di stile”.  Bozzetti le chiamavano, a volte arricciando un po’ il naso, nei fotoclub anni sessanta. “Images à la sauvette…” le nobilitava Cartier-Bresson. Street photography, le definirebbero oggi. Per Tullio Farabola, mentore fotografico di Angelo, erano “scenette”. Quando il lavoro d’agenzia stagnava e non c’erano da fotografare fatti e fattacci, Farabola metteva in mano a Cozzi una Rollei e gli diceva di fare un giro a fotografare “scenette”. Gli scatti a disposizione erano 12, quelli offerti da un rullo formato 120. Non bastava scattare alla meno peggio: bisognava pensare, prima. Altrimenti i dodici fotogrammi erano sprecati. E allora lo sentivi Farabola! Ai quei tempi, così s’imparava la fotografia: fotografando e sopportando le critiche di chi ne sapeva più di te. Si andava a bottega e, come ogni buon artigiano, imparavi facendo. C’era del metodo in quella che oggi, in epoca di scuole e scuolette, parrebbe follia. Non solo Angelo ebbe questo imprinting: tutti quelli della sua generazione lo ebbero. Anche questa un’altra storia. Torniamo alle “scenette”, tutte rigorosamente in bianconero, con il sapore della documentazione un po’ neorealista. La temperie dell’epoca era quella. Il paese di Scanno, in Abruzzo, con i suoi vicoli e anziani vestiti di nero, era meta preferita dei fotoamatori. “…il gusto di quelle che Farabola chiamava scenette mi si è attaccato addosso. Un imprinting si potrebbe dire. Negli anni cinquanta feci un viaggio nel nostro Sud e lì i motivi per fotografare non mancavano. La gente, i luoghi, erano molto fotogenici…anche se la miseria era grande…terminata la scuola –continua a raccontare – mio padre voleva farmi un regalo.

cozzi cronacaAngelo Cozzi durante un suo viaggio nei Paesi del Nord Europa. Il primo fotogramma di ogni rullino era impressionato da Angelo con i riferimenti del luogo e la data…un po’ come il ciack del cinema.

Gli chiesi un viaggio per fotografare nei Paesi dell’Europa del Nord. Naturalmente, viaggiai col mezzo più economico e anche più interessante, per un fotografo: il pullmann…”. Era il 1949. Le ferite della guerra, terminata da appena quattro anni, erano aperte e visibili. Anche la volontà di chiudere con il passato e ricostruire. Dal mucchio Angelo sceglie una fotografia: alcune oche che pascolano davanti al Duomo di Colonia. “…in Germania vidi i tedeschi che, prima delle loro case, ricostruivano le loro fabbriche, mattone per mattone. Questa foto non l’ha mai vista nessuno, non l’ho mai pubblicata. Ci sono molto affezionato e l’ho tenuta nel cassetto per tutti questi anni…”. Dicono che una foto valga mille parole. Non sono d’accordo. Senza didascalia una foto dice ben poco. Tuttavia questa, delle oche, un po’ mi fa ricredere. O, forse, la didascalia la metto io, inconsciamente. Queste foto di Angelo, strettamente personali, sono ognuna una storia. E spesso dentro una storia ne trovi un’altra. Gioco di specchi che sarebbe piaciuto a Borges e a Pirandello.

cozzi cronacaGermania, anno zero. Colonia, dove negli anni cinquanta pascolavano queste oche, oggi ci sono alberghi e ristoranti.

Angelo ha sempre scattato “scenette” anche quando era su un servizio commissionato. Nel tempo libero, così lo chiama, tra una foto e l’altra, prendeva su e andava in giro a scattare, come gli aveva insegnato Farabola. Forse questa felicità di fotografare ha un motivo. “…ho sempre lavorato per me –conferma Angelo – non ho mai avuto un rapporto da dipendente, con gli editori con i quali ho lavorato. Quando finiva la sintonia con il giornale, cambiavo editore. C’erano sempre altri giornali, altri editori. L’ho fatto anche quando l’editore mi apprezzava, ma la mia sintonia con i direttori dei suoi giornali se n’era andata. Negli anni ‘66/’67 lavoravo per i settimanali Mondadori. Lavoravo bene con Grazia e il suo direttore Olivieri. Avevamo lanciato un concorso sui desideri dei lettori. Ogni mese ne sceglievamo uno e chi l’aveva espresso lo vedeva realizzato. Naturalmente con abbondante mia documentazione fotografica. Ricordo ancora che il primo desiderio realizzato fu di una persona che voleva deporre un fiore sulla tomba del fratello, caduto a El Alamein. Il secondo era un abito da sposa di Chanel, molto desiderato da una ragazza di Venezia. C’era anche una classe elementare, che voleva andare a Roma per vedere il Papa ,Totò e….il mare. Tutto bene finché una ragazza di Livorno volle conoscere la sorella, emigrata anni prima a Philadelphia, negli USA. Partiamo e la troviamo felicemente sposata con un uomo di colore. Saputolo, il direttore mi dice che non dovevo scattare foto alla famiglia, ma solo dell’incontro tra le due sorelle. Organizzai un finto incontro, sotto i grattacieli di New York….”

cozzi cronacaUn poco elegante sbadiglio in uno dei caffè più rinomati di Vienna.

In quel clima Angelo resistette sette anni. Poi, una mattina, il direttore di Grazia trovò sulla scrivania la sua lettera di dimissioni. L’archivio di Angelo è completo e puntiglioso. C’è ancora la velina di quella lettera, scritta con i caratteri arrotondati di una Lettera 22. Queste alcune frasi:”…Grazia mi ha permesso di girare il mondo, ma mi ha costretto talvolta a vederlo con gli occhi del suo Editore e del suo Direttore, non con i miei….Lei m’insegna che non si può lavorare in un modo e pensarla in un altro, trasformare la Foresta Vergine nel Giardino di Boboli, le “favelas” brasiliane in una strada dei Parioli, la vita in un manifesto della Coca Cola….io, in questi anni, ho parlato soprattutto col mio obiettivo. Con questo mi esprimo, con questo sono. Sa cosa scrive Pirandello? “ La vita la si vive o la si scrive”. Io, la fotografo. I miei discorsi, le mie chiacchiere, le mie opinioni sono i miei servizi, i migliori….mi è stato fatto capire che le mie dimissioni non porteranno un gran disagio. Giacciono, all’Ufficio del Personale, decine di domande di fotografi che chiedono di essere assunti. Ma quali dimissioni portano del disagio in un complesso come la Mondadori’ Nemmeno le Sue ne porterebbero, credo….resta, per me che me ne vado, il buon ricordo di sette anni di vita e di lavoro, nonostante tutto, positivi. Resta la stima e la fiducia che in tante occasioni mi avete dimostrato…”.
Le scenette si susseguono alle scenette, a volte veri servizi a tema. Pochissimi sono stati pubblicati. Quella che vediamo in queste pagine web è la parte meno conosciuta di Angelo. Il suo lato oscuro, scherziamo assieme, giocando sul fatto che sono immagini in bianconero, sorte dalla magia della vecchia camera oscura. Oggi il fotografo viaggia in aereo, all’epoca Angelo viaggiava, per quanto poteva, in automobile. Il modo migliore per conoscere un Paese, conoscere la sua realtà. In Egitto realizzò un servizio sulle scuole della campagna di alfabetizzazione voluta da Nasser. Erano povere scuole del deserto, ammirevoli per l’impegno di allievi e insegnanti. “ Il padrone è tale perché conosce dieci parole più di te…” diceva Don Milani, ai suoi allievi della scuola di Barbiana. Nasser voleva togliere il suo popolo da secolari soggezioni. Nessun giornale pubblicò mai le scuole nel deserto.

cozzi cronaca vietnamBambini di Saigon che giocano con elicotteri che si sono costruiti con rottami di ferro.

I volti, le storie continuano. Dal Viet-Nam Angelo non ha solo riportato i marines di Khe Sanh e l’offensiva del Tet. Mai visti, ci sono anche i bambini di Saigon che giocano, sorridenti, con improbabili elicotteri costruiti con rottami di ferro; forse di elicotteri veri precipitati o di carri armati saltati sulle mine. Storie e ancora altre storie.

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