I reportage di viaggio
La fotografia di viaggio è un genere molto praticato. Ogni turista pensa di essere un fotografo di viaggi. I paesaggi sono lì, i monumenti pure, la gente anche. Con le attuali fotocamere, poi, la foto “viene” sempre. E nelle pagine della guida turistica che hai comperato c’è già tutto quello che devi fotografare. Angelo mi racconta dei suoi viaggi.
Vittorio G.Rossi fu un grande scrittore di viaggi. Stimava molto Angelo Cozzi. Per la copertina del libro L'orso sogna le pere, volle una sua foto degli iceberg della Groenlandia.
Da quei ricordi, da quella saudade t’accorgi della differenza che passa tra il turista e il viaggiatore. “ Non ho mai fatto il turista…sono sempre stato un curioso…arrivo in una città sconosciuta, poso il bagaglio in albergo ed esco subito…”. Angelo percorre strade casuali, s’inoltra in labirinti di curiosità e lascia che i luoghi lo perdano nel loro abbraccio. Chi viaggia conosce questa gioia: il luogo che s’impadronisce di te, non il contrario. Viaggiatori, non turisti. Fotografi, non schiacciabottoni. “…sono curioso di vedere gente nuova e l’approccio migliore è il sorriso. Se vuoi delle belle foto non devi prevaricare il soggetto, non devi imporgli qualche cosa…_ poi continua - Quando preparo un viaggio non mi rivolgo spesso alle guide turistiche. Anche se sono coautore di molte Guide Blu del Touring. Preferisco farmi ispirare dai libri..”. Angelo è stato almeno cinquanta volte in Africa e le sue guide erano “La mia Africa” di Karen Blixen, “Verdi colline d’Africa” di Ernest Hemingway. Ma non solo. Il suo libro du chevet, quello che leggi prima di addormentarti, è “Il richiamo della foresta” di Jack London. “…una affinità con Oriana Fallaci – confida – …fece anche una bellissima introduzione ad una edizione di quel libro edito dalla BUR nel 1975. Ne ho una copia …”. Se vuoi che la foto venga bene ti devi avvicinare al soggetto, dicono affermasse Robert Capa. Angelo ha sempre cercato di “avvicinarsi”. “…sono stato alle Lofoten per fare dei servizi sulla pesca del merluzzo. Sempre ho voluto uscire con i pescatori, per capire meglio fatiche, gioie, difficoltà del loro lavoro…confesso, non ho il piede marino e su quelle barche dire che soffrivo il mal di mare è un eufemismo...ma ho capito e spero, significato con le mie immagini, la loro vita, la loro fatica…oggi, quando lo mangio, il merluzzo ha per me un sapore diverso da prima…”.
Con Angelo scorro le pagine dei giornali, delle brochure nelle quali ha pubblicato le sue foto. Le ha tutte ben catalogate. Anni e anni di viaggi si materializzano davanti ai nostri occhi. E sono racconti, episodi, consigli.
Il telegrafista che, in Groenlandia, portò Angelo sotto gli icerberg, per fotografarli meglio.
Ogni immagine apre finestre di ricordi. “..in Groenlandia trovai un telegrafista, più pazzo di me, che acconsentì a portarmi fin sotto gli iceberg, per fotografarli meglio…comportamento pericoloso. L’iceberg è una cosa viva, con i suoi scricchiolii, con i suoi improvvisi cedimenti. La maggior parte del ghiaccio è sott’acqua, ne spunta sola la punta. Il rischio non viene solamente da sopra, ma anche da sotto…è stata un’esperienza di quelle che non dimentichi, bordeggiare sotto quelle montagne di ghiaccio…”. Spesso, davanti alle foto di Angelo, ti chiedi com’è riuscito a farle. Non sono immagini di chi si è trovato per caso da quelle parti ed ha avuto la fortuna della giusta combinazione di luci e soggetti. Hanno una semplicità mai banale che ti fa sentire proprio in quel posto e in quel momento. “…in Kenya, nel parco di Amboseli vidi una donna Masai incinta lungo la pista…era mattino e attorno non c’era nulla, solo la savana. Fermai la Land e le diedi un passaggio. Tornava al suo villaggio, distante qualche chilometro. La portai al villaggio …per me un piccolo gesto di cortesia, per lei e gli abitanti di quelle capanne una dimostrazione di amicizia. In quel villaggio, anche negli anni seguenti, riuscii sempre a scattare belle foto e vere. Non foto da turista, con il buon selvaggio in posa per qualche dollaro….tornai anche con Cristina, un mia modella con la quale stavo facendo un servizio turistico e riuscii a fotografarla dentro una capanna masai. E tabù, per gli estranei al villaggio, l’interno della capanna… io non ero considerato un estraneo…”.
Anche un professionista spesso cede al divertimento del turista. La fotografia sotto il cartello che indica la linea dell’Equatore è un classico. Qui siamo in Kenya.
Anche le occasioni mancate suscitano ricordi.”…non sono mai riuscito ad essere in India al momento del Monsone quando, dopo la siccità, arrivano le grandi piogge. Un momento importante e caratteristico che ho sempre mancato...ma mi sono rifatto in Thailandia con un monsone in ritardo…”. Sornione mi mette davanti immagini come viste attraverso un filtro. Un filtro vero, fatto di spesse cortine d’acqua. Viaggiare in posti lontani, tra culture diverse dalla tua, può metterti in situazioni difficili o umoristiche. Il qui pro quo è la norma. “…quella volta la mia meta erano gli Aka, tribù che abitano le alture al nord della Thailandia. Dai villaggi controlli la strada che s’inerpica per raggiungere i villaggi. Non passai inosservato e mi accolsero due ali di bambine, sorridenti e agghindate nel costume tradizionale….seppi dopo che quello non era un benvenuto, ma un mercato. Le tribù Aka sono spesso visitate dai commercianti che riforniscono i bordelli delle città. Mi avevano scambiato per uno di quelli e le famiglie del villaggio avevano esposto la merce…chiarii l’equivoco, regalai una cassa di succhi di frutta che avevo in macchina e scattai bellissime foto…”.
Angelo in Thailandia, mentre riprende alcune bambine in un villaggio Meo, nel Nord del Paese.
Chi viaggia porta sempre a casa un ricordo dei luoghi visitati. Alla fantasia e al buon gusto di ciascuno la scelta. Gli oggetti di Angelo hanno tutti una storia. Non sono quelli anonimi dei turisti. Una sua mania è collezionare elefanti. Quelli piccoli, intagliati nei materiali più vari e provenienti dai quattro angoli del mondo. Anche quelli dove non ci sono elefanti veri.
“…ero a Lambarené, in Gabon, dopo la morte di Schweitzer per fotografare Munz, il successore nella gestione del grande ospedale. Anche da lì volevo portare a casa un ricordino a forma d’elefante, ma non ce n’erano. Chiedevo in giro, e tutti scuotevano la testa, finché un ragazzino mi fece cenno di seguirlo. Per un sentiero nella foresta mi portò al vicino lebbrosario da un uomo con due moncherini al posto della braccia. Per rimediare qualche soldo scolpiva il legno. Aveva un uncino attaccato a uno dei moncherini e con questo teneva fermo il pezzo che lavorava con uno scalpello tenuto con i denti. Nella mia collezione di elefantini ne trovi uno in legno, con tre gambe sole. Una si spezzò mentre lo faceva….ho anche una piccola scatola con dentro 12 piccolissimi elefanti, poco più grandi di un millimetro. Li devi guardare con la lente. Arrivano dall’India. Chi li fa dicono sia condannato alla cecità, tanto sforza gli occhi in quel lavoro..”. Da un viaggio in Groenlandia ha portato l’intero Pantheon delle divinità Inuit. Sono statuine di pochi centimetri, scolpite nell’avorio dei denti del tricheco. “…le ha scolpite un famoso artista, tanto famoso e bravo che la sua produzione non può lasciare il Paese, se non dietro uno speciale permesso. Lo scopersi quando visitai il museo di Egedesminde e vidi statuine come queste. La direttrice mi spiegò che non potevano essere esportate. Mi guardai bene dal dirle che le avevo già in valigia…”.
La classica immagine da brochure turistica: semplice, ma che richiede organizzazione: in questo caso l’affitto di un aereo per scattare dall’alto.
Dall’arte di arrangiarsi che, evidentemente, non conosce latitudini a un souvenir un poco imbarazzante. Una Madonna sbalzata su quello che sembra un pezzo d’avorio lungo una quindicina di centimetri. Una Madonna orientaleggiante, a figura intera, leggermente arcuata. Lavoro di precisione, che ricorda le figure dei templi indocinesi. Raffinata. “…questa la riportai dal Viet-Nam. Chi me la vendette giurò che era fatta con la tibia di un Viet Cong…”. Mai chiedere da dove vengono i ricordi. Come per quel pezzo di cuoio che, mentre reggo la scala ad Angelo che cerca ricordi all’ultimo piano di uno scaffale, cade dalla scatola, zeppa di oggetti, che ha in mano.. “… me lo regalò Togni…lo usava una famosa trapezista, quella sera che sbagliò il tempo e precipitò uccidendosi…la conoscevo e l’ammiravo molto…”. Non solo a tragedie, rimandano gli oggetti che Angelo tiene sui ripiani degli scaffali, in bella vista, oppure ammucchiati in scatole dalle quali si propone sempre di ripescarli, per dare loro una migliore collocazione. O, forse, non vuole ordinarli per bene su mensole e scaffali. Si negherebbe la sorpresa di un ricordo dimenticato, quando vi rovista dentro. Non è certo un ricordo dimenticato quel bell’orologio del settecento su una mensola del soggiorno, o quella testa di Budda, poco più in là. L’orologio arriva dalla Polonia, anche se venne fabbricato nell’Austria degli Asburgo. Fu un colpo di fulmine, quello tra Angelo e l’orologio. Un amore da subito contrastato. I due non potevano fuggire insieme perché la legge vietava l’esportazione di oggetti d’arte. E un orologio da mensola non potevi nasconderlo agli zelanti doganieri dell’epoca. Ma il Regime non aveva previsto la cocciutaggine di Angelo. Oramai chi legge queste note ha imparato a conoscerlo. Quando si mette in testa una cosa, prima o poi, la ottiene.
Durante un servizio negli USA. Interessante notare la fotocamera a pellicola piana e il robusto treppiede. All’epoca, siamo negli anni settanta, il fotografo girava il mondo con un’attrezzatura molto ingombrante.
Da subito non aveva alcuna soluzione al problema, e affidò l’orologio a un’amica polacca. Sarebbe tornato a prenderlo. Ciò avvenne due anni dopo, quando andò in Polonia per un nuovo servizio. Era l’occasione per, è il caso di dirlo, fare il pacco ai doganieri polacchi. Con un pacco si presentò alla frontiera d’ingresso. Dentro c’era un banale orologio a cucù comperato in Alto Adige, e ostentatamente avvolto in giornali tedeschi. Prevenendo la domanda sul contenuto, Angelo pretese che gli segnassero sul passaporto l’importazione temporanea di un orologio originale del settecento. Il resto della storia lo potete immaginare: l’orologio a cucù rimase in Polonia e quello del settecento ne uscì, ben avvolto nei giornali tedeschi, con tanto di timbri e controtimbri. Altra storia quella della testa del Budda. Viene dalla Thailandia dove, sempre per motivi doganali, abbandonò il corpo. Levitazione e corpo astrale non c’entrano. “….stavo facendo un servizio nel nord della Thailandia, ai confini con il Laos sugli elefanti che lavorano nel trasporto dei tronchi di tek - racconta Angelo –una sera, nella locanda dove alloggiavo, mi capita davanti un uomo con un bel Budda di metallo, alto poco più di un metro. Autentico del settecento. Non ci possono essere dubbi. La questione non è il prezzo che chiede ma l’impossibilità di nasconderlo alla frontiera. E’ un’opera d’arte antica: vietato esportarla. Spiego all’uomo che non è questione di prezzo, ma di dimensioni. Se ne va, un po’ contrariato. Due sere dopo rieccolo, con un sorriso di trionfo annuncia: ho tagliato la testa al Budda, questa puoi nasconderla in valigia…”.
Vittorio G. Rossi fu uno scrittore di viaggi molto apprezzato. Per la copertina del libro “L’orso sogna le pere” volle una foto di Angelo, scattata agli iceberg della Groenlandia.
Dal viaggiare per i reportage, dal pubblicare nei settimanali d’informazione al viaggiare per le foto degli operatori turistici. Così si è trasformato, nel corso degli anni, il lavoro del fotografo di viaggi.
“…credo di essere stato l’unico a lavorare, contemporaneamente, per due tour operator concorrenti. Sempre alla luce del sole: l’uno sapeva dell’altro…”. Angelo non lo dice, ma non basta saper scattare belle foto per giostrare tra due concorrenti. Bisogna capire le esigenze e le differenze tra i due e scattare foto diverse, magari della stessa spiaggia. Bisogna essere un po’ Zelig. “..per Alpitour e Franco Rosso sono sempre riuscito a interpretare e valorizzare le loro due diverse filosofie di viaggio. Per Franco Rosso il motivo conduttore era la modernità un po’ trasgressiva. Per Alpitour, invece, era la normalità della vacanza di famiglia.
Lennia, moglie di Cozzi, posa per la campagna del tour operator Franco Rosso a Cuba.
Ho lavorato su questi due concetti e li ho soddisfatti entrambi..”. Sfogliamo i depliant di Franco Rosso. La trasgressione è Astrid che s’abbronza a seno nudo. Ripensiamo agli anni ottanta. La turista che andava alle Seichelles, in un gesto tra il consumistico e il tardo femminista, si stendeva al sole dei tropici e si liberava del reggiseno. Una trasgressione di massa, perciò quasi abitudine. A impersonarla non l’improbabile pin up da rivista patinata, ma Astrid, la ragazza della porta accanto. “…un’ indagine di mercato – svela Angelo- aveva riportato che era la donna, moglie o fidanzata, a scegliere il catalogo del viaggio. Sarebbe stato controproducente mettere nelle foto una pin up. Non ci sarebbe stata identificazione. Nessuna donna normale si sarebbe identificata in quella vamp rivale. Si identificava in una ragazza, sì a seno nudo, ma dall’aspetto normale. Una ragazza che, come lei, non avrebbe fatto girare nessuno per strada….”. Alpitour, invece, trasmetteva un’immagine rassicurante: viaggia con noi e avrai sempre un professionista al tuo fianco. Feci copertine di cataloghi con hostess in divisa Alpitour. Ebbero molto successo…”. Tra il seno nudo di Astrid e il rigore di una gonna appena sotto il ginocchio spuntano immagini spiritose e improbabili. La fotografia deve anche stupire. Uno chef a mezzo busto in piscina che mostra i suoi piatti ci può stare. E’ l’ultima, attuale frontiera della foto di viaggio: il food. Ma, l’avrete già indovinato, questo è un altro discorso…
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